Il vino nel brodo

a cura di Fabio Magnani

Mi capita tra le mani un vecchissimo articolo – risalente credo al 2007-, del quotidiano la Repubblica dove si narra di un tal Cofferati, sindaco di Bologna, imbarazzato per un gesto fatto a tavola. Pare che, nel corso di una cena di partito, davanti a tutti i commensali, istintivamente versò del vino rosso nel brodo dei tortellini. Lo sgomento generale svegliò il sindaco dal torpore delle sue abitudini culinarie che, per togliersi dall’imbarazzo, spiegò di una vecchia usanza contadina dove si mischiava il lambrusco o il sangiovese col brodo per poi sorbirlo in piedi con le spalle rivolte all’interlocutore per evitare il fastidio dell’odore acre che il brodo assume una volta sposato col vino.

Penso a mio nonno e alla prima volta che gli vidi fare quel gesto, cercai gli occhi di mio padre per avere spiegazioni e lui rispose con un sorriso facendo la stessa cosa. Volli ripetere anch’io quel movimento ma mi fu impedito e mi tolsero la bottiglia dalle mani appena in tempo. Dovevo aspettare, mi dissero, di avere l’età dei grandi. Eppure mi piaceva vedere mio nonno e mio padre mischiare il vino col brodo e, con gli occhi da bambino, ricordo che mi incantavo meravigliato a guardare la doratura del liquido fumante cambiare colore per lasciare spazio allo scuro vino che sporcava, così, il biancore della ceramica che lo conteneva. Non potendo provare quell’emozione mi limitavo a captarne l’odore, notando come l’invisibile impalpabilità dell’odore speziato e sensuale del brodo carico di sostanza diventava sempre più pungente.

 Mia nonna  faceva la stessa cosa e, a parte mia madre, tutti sembravano presi da questo rituale del vino nel brodo. Non capivo, ma mi piaceva al punto tale che cominciavo a mangiare solo dopo che i soliti avessero portato a termine il tradizionale rito.

Oggi il vino lo studio, lo assaggio ed insegno agli altri a capirlo nella sua totalità, non sono un’amante dell’abbinamento perfetto perché il gusto è provocazione, emozione e curiosità, inoltre, il gusto personale non si discute; ma il vino nel brodo è un gesto che ora posso fare e, anche se non mi entusiasma sotto il profilo organolettico, ogni tanto mi piace farlo. Mi ricorda il passato, i profumi caldi e rassicuranti della cucina di casa, lo faccio come gesto scaramantico un po’ evocativo che impreziosisce i miei ricordi.

Una volta lo facevano perché il brodo era particolarmente grasso ed il naturale tannino del sangiovese romagnolo contribuiva a stemperare la sensazione viscida del grasso stesso sul palato.

 La sensazione grassa del brodo in passato la vedevo perché faceva “ gli occhi”. Oggi gli occhi nel brodo non li trovo più, è cambiato un po’ tutto e forse anche il mio sguardo ora non è più in grado di percepire la meraviglia di quel gesto fatto da mio nonno Otello; anche mio padre non compie più quel rituale a tavola, forse perché non c’è più il nonno o forse perché il brodo non è più così grasso e saporito come allora.

È curioso notare come in Romagna il brodo ed il vino si siano invertiti di ruolo. Una volta il primo era grasso ed il vino era prevalentemente acido e, nel caso dei rossi, particolarmente tannico.

Oggi, invece, il sangiovese è scuro, profondo e delle volte morbido al palato, i motivi li conosciamo tutti e, soprattutto, sappiamo bene anche le motivazioni di questo cambiamento, ma mi chiedo adesso che faccio, aggiungo il brodo nel vino o lascio perdere proprio come ha fatto mio padre?

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