A cura di Fabio Magnani
È fuori dubbio oramai che il Gin stia vivendo un nuovo, l’ennesimo, rinascimento. Occorre, però, fare un passo indietro per spiegare cos’è questo distillato e soprattutto è importante chiarire nella mente di chi legge la provenienza del Gin. Molti credono, infatti, che il Gin sia inglese. In realtà, non lo è. Gli inglesi storicamente hanno avuto altri meriti esattamente come gli olandesi ma il Gin nasce nell’Italia del Medioevo. Il motivo? L’Italia è un paese con un territorio unico che rende disponibile una varietà di piante quasi infinita e il principale ingrediente del Gin, il ginepro, è una pianta che nel bel paese trova un ambiente perfetto. Molti Gin prodotti nel mondo usano ginepro italiano perché superiore come qualità con, addirittura, alcune eccellenze nei territori della Toscana, lungo le Alpi, in Umbria e perfino in Sardegna dove, tra le diverse varietà, troviamo il “ginepro coccolone”, dolce e resinoso che regala al Gin sfumature verdi appena vanigliate. Detto questo, occorre fare anche il seguente collegamento storico. L’Italia è il paese che si contraddistingue per la forte presenza di ordini monastici da sempre detentori del sapere della scienza erboristica e della distillazione. Documenti storici di ordini dei frati Benedettini, Camaldolesi e Cistercensi riportano di bevande alcoliche a base di ginepro. Inoltre, per fugare ogni dubbio sulla provenienza tutta italiana del Gin occorre ricordarsi dei “Gesuati” da non confondere con i Gesuiti. I primi erano un ordine laico che per sopravvivere erano costretti a fare ogni tipo di lavoro e avevano una straordinaria abilità nella scienza erboristica e nella distillazione, per questo soprannominati “ Frati dell’acquavite”.
Tutto questo sapere di erbe e distillazione non sarebbe fiorito, però, se non fosse stato per la “Scuola Salernitana”, il più importante istituto di medicina del Medioevo con il loro “Giardino dei semplici” primo orto botanico della storia. A seguire, sempre dalla scuola di Salerno, furono creati altri vivai: in Germania e poi Roma 1447, Colonia 1490, Pisa 1544, Padova e Firenze 1545, Bologna 1567, Jena 1586, Heidelberg 1598, Leida 1590. Se non siete ancora convinti, pensate alle Repubbliche Marinare e ai traffici delle spezie, le quali finivano nei conventi per creare alcoli medicamentosi, o a Pisa e Genova che fecero la storia della liquoristica dell’epoca insieme a Torino e Firenze. Convinti adesso? Potremmo andare avanti pagine sulla evoluzione del Gin in Italia fino ad arrivare al dopo guerra ma ora è il momento di comprendere cosa successe subito dopo in altre aree. Secondo alcuni storici, attraverso i conventi, l’acquavite di ginepro arrivo presso alcuni ordini monastici nel Belgio. A questo punto le opinioni degli studiosi si dividono, c’è un buco nero storico ma in realtà, l’acqua di ginepro arrivò nel laboratorio del medico olandese “Franciscus Sylvius de Boe”, personaggio delle volte discusso in certi testi, che in quel periodo si stava occupando di trovare una medicina per risolvere malanni e malattie dei soldati in guerra. Studiata la bevanda, cominciò a sperimentare il ginepro creando un’alternativa alcolica chiamata “Jenever” dall’olandese “jeneverbes”, ginepro appunto. La differenza con l’alcolico salernitano era che gli olandesi lasciavano a macerare il ginepro insieme a altri ingredienti aromatizzanti. Non dimentichiamo la nascita della “Compagnia delle indie Olandesi” nel 1617 che permise loro di disporre di spezie, piante e resine dall’Africa e dall’America. Mentre gli olandesi bevevano il loro elisir di lunga vita a base di ginepro e botaniche varie succede qualcosa che sconvolge il cammino del Gin: la “guerra dei trent’anni”. Scoppiata per motivi religiosi, portò ad una alleanza tra l’esercito olandese e quello inglese che combattevano fianco a fianco. Gli inglesi notarono che i soldati fiamminghi prima di gettarsi tra le file del nemico usavano bere un sorso di un distillato, la “Jenever”appunto, che infondeva loro un coraggio inaspettato e un ardore inconsueto. Tanto è vero che gli inglesi soprannominarono la bevanda “Dutch Courage”, coraggio olandese. Oggi ci sono delle marche di “Jenever” che portano questo nome. Gli inglesi presero la stessa abitudine e grazie agli scambi commerciali e agli ottimi rapporti tra i due paesi la “Jenever” approda in Inghilterra e qui succede quello che forse nessuno si sarebbe mai aspettato. Pura follia. Era il 1700 e gli inglesi benestanti bevevano la “Jenever” regolarmente. Il distillato olandese era costoso ma comunque sicuro.
La moda, in realtà una vera e propria epidemia, si diffuse anche tra le classi meno abbienti e il “il coraggio olandese” cominciò ad essere il distillato più bevuto al punto tale che re Guglielmo III decise di tassare il Gin per finanziare la guerra contro la Francia. Questo non diminuì le vendite, anzi, chiunque poteva produrre quello che gli inglesi, ora, chiamavano Gin per l’abitudine dei britannici di abbreviare ogni parola. Il Gin prodotto, però, è diverso dall’originale olandese. Mancava l’esperienza di chi distillava. E, dal momento che chiunque poteva produrre senza licenza molti distillavano liquidi quasi tossici. La diffusa produzione di Gin e il conseguente abbassamento dei costi spinse molti a macerare e stillare qualsiasi tipo di botanica per potersi distinguere dalla concorrenza e poter vendere a un prezzo più alto. Utilizzavano tutto ciò trovavano nei fossi e nei campi dalle radici alle piante e frutti senza nessun tipo di preparazione al riguardo. Le strade di Londra erano piene di gente ubriaca, i disordini e gli incidenti erano all’ordine del giorno. Le donne erano tra le più accanite bevitrici di Gin e si legge nella cronaca dell’epoca che spesso accadeva che ubriache in cucina vicino alle fiamme del camino prendessero fuoco. Lo stesso “Bernard Mandeville”, autore di “Fable of the Bees”, descrive nella sua opera come il Gin rientrasse nei vizi capitali di Londra. Questo periodo, nella documentazione storica del paese, fu definito “Gin Craze”. La Gin mania fu fermata dal “Gin Act” nel 1751 che impose una licenza per svolgere regolare attività di distillatore. La licenza costava tantissimo solo i più ricchi e preparati potevano distillare.
Si vietò così la produzione illecita proibendo, inoltre, la vendita ai rivenditori non autorizzati. Tutto questo se da una parte un po’ arginò la situazione, costrinse molti a preparare il Gin di nascosto nelle vasche da bagno alimentando, così, il contrabbando tra le classi meno abbienti. Questo Gin si chiamava, appunto, “Bathtub” menzione che ancora oggi si usa per indicare i Gin con botaniche macerate e non distillate. Fine prima parte
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